Ad Alessandra,
alla sua umana motivazione che mi ha consigliato questa visione:
“perché questo film mi ha riportato da te”
Ho visto lo spot promo di questo film per la tv, per caso, tra una notizia sulla crisi di governo e la premiazione della Palma d’Oro a Cannes. Pupi Avati e il suo nuovo film per la tv Il fulgore di Dony, il titolo non è un richiamo seppure quell’attributo abbia qualcosa di speciale di questi tempi inusuale ed altamente connotativo allo stesso tempo. Me lo perdo, la mia amica Alessandra, che non mi chiama quasi mai per consigliarmi una visione (di solito è il contrario) mi chiama, l’ha visto, mi dice che è importante, che ne dobbiamo parlare. Mi convince, per fortuna c’è RaiPlay. https://www.raiplay.it/programmi/ilfulgoredidony/
Donata, detta Dony, ha quindici anni, la sua migliore amica Barbara con cui frequenta danza classica, più per condivisione del tempo libero che per passione o talento nella disciplina, ha un debole per la scrittura: suo padre dice che è il suo sogno di bambina, lei non ne è più così sicura ma non s’affretta neppure a smentire.
E’ un po’ insicura nei modi, con una strana scintilla negli occhi vagamente all’ingiù, che s’accendono senza premeditazione il giorno in cui Marco Ghia, cerca affannosamente il portiere del suo palazzo. Sente gli occhi seducenti di Marco addosso e tutto cambia in un lampo: tutto resta dentro, la voce non trema, il passo diventa deciso, le azioni precise spinte dall’ inevitabile desiderio di rivederlo. Quel desiderio non diventa, smania di sapere o di possesso, semplicemente desiderio d’attenzione che diviene il bottino di una caccia al tesoro del cuore.
Il loro secondo incontro avverrà in ospedale, durante le settimane bianche delle due famiglie: Marco viene ricoverato per trauma cranico, e il fratello di Dony per la frattura della clavicola entrambi dopo una giornata sugli sci. I due si salutano, chiacchierano, uno scambio veloce che Dony vorrebbe non avesse fine.
Tutto però finisce sempre, per ricominciare nuovamente: per Marco Ghia il mondo cambia colore una sera di fine gennaio, per Dony che s’è innamorata di lui, a prima vista, accade la primavera seguente, quando scopre che Marco non tornerà più a scuola.
Dony va a trovarlo, vuole sapere cos’è successo: lo trova seduto al computer, a digitare lettere per un codice binario che solo lui decodifica: ripete la stessa frase manciate di volte senza fermarsi, finchè la voce di Dony spezza il loop; di quella voce Marco ha un ricordo in qualche angolo della sua mente. In quel frangente, il sentimento potente e acerbo che Dony prova acquista senso, non ha certo pretese di guarire o salvare ma ha un senso, può darne alla sua stessa esperienza nel suo andare.
Pupi Avati, che non seguivo più da un buon decennio, m’ ha sorpreso con una storia semplice tanto quanto rara: la semplicità è nel carattere dell’approccio, nella natura delle parole scelte per comunicare. Parole che sanciscono un inizio nell’ immediatezza delle situazioni, al pari dei momenti di confronto-scontro con una verità scritta dall’empatia e dall’autenticità d’un sentimento; che al Mondo non chiede d’esser compreso ma d’essere tollerato, nel suo esistere, quanto di vibrare nel suo essere.
Il coraggio di questo lavoro risiede soprattutto nella scelta di raccontare una malattia fuori tempo ed un sentimento a tempo che nel loro incontro testimoniano quanto le scelte possano essere cruciali e potenti se sono conseguenza di un desiderio che fiorisce dal bisogno di contare, di fare la differenza, per divenire consapevoli del proprio valore.
Una storia di rara lentezza che dispiega le sue piccole ragioni e la verità della protagonista nello splendore vivo di un cuore temerario che non ha paura di spaventarsi per tornare in sé e scegliere di non rinunciare al proprio sentimento solo perché non ha scorciatoie.
La giovane Dony è interpretata da Greta Montanari, la bimba che aveva interpretato Martina ne L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, è ancora lì: come se lo spirito da resistente di quel suo primo personaggio, dieci anni dopo fosse sbocciato da dentro quel corpo per ricordarci di non aver paura di scegliere chi amare, perché colui (o colei) che sceglieremo, dopo aver faticato lungo la strada, ci dirà molto nitidamente chi siamo nel profondo.
“E allora ridiamo ridiamo tantissimo
con gli occhi dentro agli occhi
poi smettiamo di ridere e lui mi guarda…”
Carmen Nemrac Riccato