di Mauro Costanzo
Il clima era carico e l’eccitazione fervente, tra la fine del 2012 e il primo scorcio del 2013. I locali della Cooperativa “Il Punto” di Torino erano invasi da sensazioni contrastanti ma, soprattutto, si faceva pressante l’attesa per l’apertura di Pandora, un servizio residenziale configuratosi in una Comunità di tipo familiare che ha aperto i battenti a metà giugno del 2013. Da quel momento, nell’alloggio scelto si sono intessuti e alimentati rapporti, si sono sviluppate e intrecciate vicende tra le più disparate, si sono create e realizzate importanti progettualità e si sono susseguiti fiumi di emozioni forti e frastagliate che le solide pareti di Pandora non sono riuscite e non riescono ad arginare.
In questi anni, Pandora ha attraversato sconvolgimenti epocali, un’evoluzione con una sempre più preponderante affermazione dei social e una pandemia che ha spazzato via certezze come fossero birilli causando danni di ogni tipo, tanto per citare due capitoli “pilastro” del decennio.
In occasione del decennale, abbiamo sfogliato questo particolare album dei ricordi insieme ai tre fondatori dalla comunità torinese: Federica Bieller, referente del servizio, Rossella Muraca, coordinatrice dell’area educativa e Ruggero Sorrentino, Presidente della cooperativa Il Punto.
L’apertura di Pandora è stata la risposta a precise richieste del territorio. Cosa richiedeva, 10 anni fa, questo territorio e quali sono state le premesse per l’apertura del servizio?
Ruggero Sorrentino: Dieci anni fa, il Comune ha indetto un bando per destinare un alloggio precedentemente usato per altra progettualità. In quel periodo, la disabilità motoria non era considerata una priorità ed è per questo che una comunità familiare come Pandora ha coperto un vuoto nell’offerta di servizi del Comune di Torino.
Federica Bieller: Dieci anni fa, il comune di Torino aveva una scarsa
presenza di risorse dedicate alla disabilità motoria, soprattutto in ambito
residenziale. I progetti esistenti erano spesso risposte poco idonee a chi, come
nel caso degli abitanti di Pandora, voleva essere protagonista della propria
progettualità. Da qui il tentativo di creare una risorsa fresca e accogliente, in
grado di rispondere alle esigenze dei cittadini.
Rossella Muraca: L’apertura di Pandora è nata dalla richiesta del Comune di
Torino tramite un bando di concessione locali. Eravamo in un periodo in cui le
comunità per persone con disabilità fisico-motoria erano veramente poche.
Com’è cambiata, nel corso del decennio, la tipologia delle richieste?
Ed, eventualmente, in quale direzione?
R.S.: Nel corso degli anni, la disabilità motoria ha acquisito importanza nella
mappa dei servizi. A testimonianza di ciò, cooperative anche di grandi
dimensioni hanno iniziato a diversificare l’offerta aprendo servizi per motori.
F.B.: Con l’apertura di altri servizi dedicati alla disabilità motoria, attualmente la richiesta del territorio è spesso legata ad esigenze più specifiche.
Sicuramente Pandora risponde a chi, pur avendo una disabilità sulla carta
complessa, ha dentro di sé una spinta motivazionale alta verso l’autonomia.
R.M.: La richiesta dei servizi per persone con disabilità nel territorio della
città di Torino è aumentata nel corso degli anni. Questo è dovuto a diversi
fattori, tra cui l’aumento della popolazione anziana, l’aumento della consapevolezza della disabilità e dei diritti, l’introduzione di nuove tecnologie che hanno reso possibile vivere una vita più indipendente. Un’evoluzione che ha portato anche ad un aumento di servizi residenziali e diurni per i cittadini torinesi.
Perché la scelta di aprire una comunità di tipo familiare?
R. S.: Il Punto è nato specializzandosi sulla disabilità motoria: ad esempio, in
quello stesso periodo abbiamo accreditato un servizio di educativa territoriale
per persone con disabilità motoria. In ogni caso, l’input per l’apertura di Pandora è arrivato direttamente dal Comune di Torino che ha deciso di destinare l’alloggio ad un progetto del genere.
R.M.: Il bando lo richiedeva espressamente: credo che, all’epoca, fosse veramente il servizio più strutturato che potessimo offrire considerando le nostre competenze professionali. L’idea era quella di fare un passo in avanti, consapevoli delle nostre potenzialità dell’epoca.
F.B.: Perché’ era la soluzione più idonea per proporre un servizio efficiente
ma non rigido e normato come possono essere le residenze a carattere più
sanitario.
Che servizio offre Pandora?
R.S.: Pandora è una comunità familiare accreditata per persone con disabilità motoria. Chi aderisce al progetto vive fisicamente nell’appartamento, usufruendo di un supporto educativo ed assistenziale per superare alcune difficoltà. A differenza di altri servizi, gli abitanti di Pandora, pur condividendo alcune regole di convivenza, mantengono la loro autonomia potendo anche uscire senza restrizioni.
R.M.: Pandora è una struttura residenziale che si trova in Vanchiglietta, un quartiere residenziale a pochi passi dal centro della città. La comunità dispone di spazi comuni, come una cucina, una sala da pranzo, un soggiorno e offre agli ospiti un ambiente familiare e accogliente, dove possono vivere una vita piena e indipendente. Si tratta di un progetto innovativo che si basa sul modello di vita famigliare, basandosi sul principio che le persone con disabilità abbiano diritto a vivere in un ambiente dove possono ricevere l’assistenza e il supporto di cui hanno bisogno per crescere, imparare e sperimentare nuove cose.
F.B.: Pandora offre un’assistenza di tipo assistenziale ed
educativo 24 ore su 24. Ma, soprattutto, offre l’opportunità di sentirsi a “casa”, in un’organizzazione che tiene molto in considerazione la libertà personale di auto determinarsi e scegliere.
Cooperativa, educatori, operatori, utenti: come prende forma la mappa
concettuale che unisce il tutto? E quali sono gli organismi che regolano il
funzionamento della comunità?
R.S.: Alcune regole sono predefinite, nel senso che ogni servizio, in base alla
tipologia, deve rispettare alcune regole come ad esempio la qualifica degli operatori, il numero di beneficiari, i requisiti strutturali dell’alloggio, il minutaggio… A questo si aggiungono le esigenze specifiche di ciascun abitante, che modellano l’organizzazione per essere in grado di rispondere alle richieste lavorando sull’individualità dei progetti.
Ci sono state difficoltà iniziali? E come si è plasmata in questi anni Pandora?
R.S.: Poiché il servizio è stato creato dal nulla, e per noi si trattava della
prima esperienza in tal senso, abbiamo dovuto affrontare alcune criticità,
come ad esempio assumere personale per creare un gruppo in grado di
rispondere alle diverse necessità. Anche alcuni aspetti pratici, come la
definizione di specifiche procedure o dei turni, hanno avuto un’impostazione
iniziale e successive revisioni. In fondo Pandora è una casa, e chi ci abita
una famiglia, per cui al di là delle procedure occorre un approccio
“caldo”, perché ogni famiglia ha delle regole che non sono assolute, ma
funzionano per chi la compone.
F.B.: La difficoltà più grande è quella di far percepire Pandora non come una “fine” ma come un “inizio”, un luogo dove sperimentarsi e crescere insieme come individui, come gruppo, come professionisti. Negli anni Pandora è cambiata con i suoi abitanti, con le loro caratteristiche personali e con le loro passioni.
R.M.: Le difficoltà ci sono sempre: le sfide sono quotidiane ed in questo
senso Pandora si è plasmata sulla forma dei suoi abitanti cercando di mutare il
suo assetto organizzativo al mutare dei bisogni di chi ci abita…. O almeno ci
prova!
Come le classiche foto che dominano le stanze di casa, quali le
immagini, i momenti che raccontano con pochi flash questi anni?
R.S.: La prima immagine che mi viene in mente è l’emozione di quando ci siamo aggiudicati il bando, la sera prima dell’apertura, quando io e
Federica abbiamo fatto notte fonda per sistemare gli ultimi dettagli. A
differenza di altre cooperative, all’epoca eravamo minuscoli e forse per
questo abbiamo vissuto in prima persona ogni passaggio che ha portato
all’avvio. Mi piace ricordare come, insieme ad un altro collega, avessimo
montato tutto l’arredo, dalle camere alla cucina! Avendo un ruolo non operativo all’interno del progetto, i miei ricordi attivi sono relativi soprattutto agli inizi. Successivamente, pur continuando ad interessarmi, la mia presenza si è ridotta grazie ad una équipe sempre più rodata.
F.B.: Sicuramente ci sono stati tanti momenti belli, ma anche tanti addii.
Forse il tavolo di Pandora ci ha visti spesso tutti insieme a chiacchierare ,a
ridere, a mangiare con gusto e a trovare soluzioni ai problemi, sempre uniti.
R.M.: Le fantastiche feste di Natale, le serate in discoteca e le immagini bellissime dei soggiorni di Pandora… che più che soggiorni sono veri e propri
viaggi alla scoperta dell’Italia.
Come si proietta Pandora nel suo secondo decennio? Quali le
aspettative?
R.S.: Al di là dell’anniversario, nel suo secondo decennio sicuramente
dovremo fare i conti con l’invecchiamento, sia degli ospiti che degli operatori,
e dovremo essere bravi per adattarci a questi cambiamenti.
F.B.: Pandora si proietta pronta ad accogliere tutti i cambiamenti del
territorio, positivi e negativi, pronta ad incassare il colpo o a sferrarlo a
seconda del momento migliore. La speranza è quella di essere sempre per tutti gli ospiti “famiglia”, che è la parola che ci piace di più.
R.M.: Sicuramente ci sarà un’evoluzione dovuta all’età dei partecipanti, ma anche un cambio di equilibri dovuti a nuovi ingressi sia di abitanti che di operatori e di cambio rispetto ai propri desideri di vita.
Da questo particolarissimo centro di osservazione, che momento è per
i servizi socio assistenziali torinesi?
R.S.: È difficile esprimere un giudizio. Da un lato in questi anni le risorse a
disposizione si sono sempre più contratte, lasciando poco spazio agli
investimenti. Contemporaneamente, l’attuale concezione dei servizi è destinata ad essere aggiornata per lasciare spazio ad un’offerta meno rigida e più flessibile. Alcuni dati macro come l’invecchiamento della popolazione non possono essere ignorati anche se Torino, rispetto ad altri territori, continua ad essere un modello per molti versi.
Scendendo ancora più nel dettaglio, dove sta andando questa
disabilità, incastonata in una morsa tra farneticazioni abiliste e
lacune territoriali la cui via d’uscita sembra non vedersi mai?
R.S.: Credo che, anche se ci sono molti esempi che possano indurre al
pessimismo, debba prevalere una visione opposta. Temi come l’accessibilità,
la dignità ed il rispetto dei diritti non possono dirsi risolti, ma se andiamo
indietro di cinquanta anni, sicuramente la cultura sta progredendo in tal
senso. Si può discutere sul fatto che certi processi dovrebbero accelerare o essere al centro dell’agenda, ma è indubbio che le nuove generazioni
crescano avendo nel loro DNA l’evoluzione frutto delle battaglie di chi le ha
precedute.
R.M.: Credo che il mondo della disabilità viva la stessa difficoltà e gli stessi
cambiamenti che sta vivendo il mondo in generale. Leggendo questa
domanda sulla disabilità mi chiedo: perché dovremmo sentirci incastonati in una morsa tra abilisti e lacune? Perché essere passivi? Abbiamo molti esempi di come si possa essere attivi, dal mondo dei social dello sport, fino ad arrivare all’innovazione. Per quanto mi riguarda, la disabilità non è proprio incastonata in nessuna morsa, la disabilità è attiva e combatte per i propri diritti e spero che il giornalista Mauro sia sempre più membro attivo di questa comunità molto viva.
Tra bilanci, prospettive e speranze, Pandora con le sue storie è già sbarcata nel
suo secondo decennio di vita. Nel 2033 quali saranno i flash, quale la lettura
dei dieci anni appena trascorsi?