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Le visioni di Nemrac (DFF Edition) – Rosso come il cielo

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Data di pubblicazione 16 Febbraio 2021
Tempo di lettura Lettura 5 minuti

QUANDO I SUONI DEL MONDO CI RACCONTANO CHI VOGLIAMO DIVENTARE

Guardi per me l’importante ora è che finisca le elementari
poi per capire quello che gli piacerà fare c’è tempo

Il problema non è più quello che gli piace fare ma quello che potrà fare


Dopo un film nuovo ed uno del cuore non era scontato scegliere un’opera che continuasse a tracciare la direzione e delineare il percorso evolutivo di cinema ed inclusione. Sapevo di voler raccontare di “Rosso come il cielo”, un’opera pioneristica sulla narrazione inclusiva delle persone con disabilità visiva, ma quando la settimana scorsa, grazie a Luca Trapanese, sono venuta a conoscenza del varo del decreto ministeriale 182 del 29 dicembre 2020 sull’esonero scolastico degli alunni con disabilità, ho sentito l’atto di recensire l’opera di Bortone indifferibile oltre che necessario.

Toscana, estate del ’70. Mirco ha 10 anni, buoni voti, ammirazione ed amore incondizionato per i genitori: è affascinato dalla magia del cinema e appassionato dalle scoperte, semplici ma cruciali come le prime volte, dei giochi in cortile e dalla passione politica e conviviale del padre, sogna una tv in casa ma non rinuncerebbe mai ad un torneo di biglie con gli amici di una vita. Un pomeriggio, incitato forse dallo spirito impavido del western visto la sera prima, si ritrova a maneggiare il fucile del padre con inconsapevole curiosità quando il calcio gli scivola dalle mani, l’arma cade e un colpo parte.

Una manciata di giorni dopo, Mirco si ritrova con la stessa paura bambina del buio ma con le ombre  a fare da ultimo indizio sul giorno e la notte. Mirco non è più un bambino come gli altri: è ipovedente, non può più frequentare la sua scuola ma a Genova ce n’è una dove potrà imparare un nuovo mestiere ed avere un futuro. Quello che gli piace non conta più: nessuno gli ricorderà di mangiare le verdure ma sarà obbligato  ad imparare il braille e a recitare la preghiera prima di cena.

Mirco non ci sta: lancia il punteruolo in piena lezione di dettato, ma quando il suo maestro gli assegna il compito di raccontare le stagioni qualcosa in quella voce determinata a non lasciare indietro nessuno lo accende. Ha voglia di fare quel compito perché quell’assegnazione è una sfida che ha il sapore di un riscatto per la sua nuova identità. Ha voglia di scalzarsi l’etichetta di “quello nuovo” e quella di ribelle gli piace un sacco, se la tiene stretta: l’unica cosa di cui sembra esser certo è che per il suo racconto non userà le parole.

Durante una delle prime ricreazioni conosce Francesca, la ragazza a cui aggiusterà la catena della bici, con cui conoscerà le strade della sua nuova città, la potenza dell’altoforno, nuovi rumori a cui affidare il suo istinto, un nuovo talento per continuare ad amare il Cinema ed il suo potere magico di generatore di storie. Abiterà quel luogo per sei lunghi anni dove lavorerà, per avvicinare il Mondo del suo passato alla stessa Realtà che ora pullula di suoni che disegnano mappe di possibilità, capitanate dalle ombre. Tornare a casa per l’estate, dagli amici di sempre, giocare a mosca cieca tra le erbe alte del campo non è mai stato così rassicurante rispetto al fatto che niente sarà più come prima ma tutto è ancora possibile.

L’aspetto più interessante di questa storia è la scelta di una profonda linearità narrativa, accompagnata da una limpidezza di pensiero generale: tesi ed antitesi a sostegno del valore della diversità come ingrediente ed insieme materia prima dell’identità si confrontano senza retorica attraverso il dipanarsi spontaneo delle situazioni affrontate dal protagonista. La scoperta di talenti nuovi che il senso dominante della vista lasciava dietro le quinte dello sguardo ora possono manifestarsi in tutta la loro potenza. I suoni strutturano una nuova memoria, si fanno archivio prezioso di un modo più intenso e sensazionale – nell’accezione letterale del termine – di raccontare. In questo modo il valore intrinseco di una favola classica resta cruciale nell’atto di fare esperienza, di mettere alla prova le proprie paure ed affrontare l’inaspettato.

Quest’ultimo aspetto, nel film di Bortone, è reso molto efficacemente dalla scelta di mettere Mirko di fronte alle implicazioni della sua cecità, affiancato dal gruppo di pari e da Francesca, vedente sì ma prima di tutto adolescente proprio come lui, che in nome del desiderio di reciprocità si fida del suo nuovo amico prima ancora di sapere cosa può o non può fare. Compensare le reciproche capacità sembra l’unica volontà che i due amici vogliono veramente assecondare, guidati dall’empatia che li chiama giorno dopo giorno uno verso l’altra.

La didascalia finale ci ricorda che solo 46 anni fa veniva legiferato a favore dell’inclusione scolastica delle persone con disabilità visiva: oggi occorre non dare per scontata nessuna conquista, tornare indietro di mezzo secolo è (sempre) possibile. Per saperne di più sul decreto 182 del 29/12/2020 visitate coordown.it. Potete sostenere la campagna #noesonero (l’inclusione non si fa fuori) firmando qui

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