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“La disabilità spiegata ai bambini”: al Salone del Libro di Torino una tavola rotonda su educazione e linguaggio

Data di pubblicazione 17 Maggio 2025
Tempo di lettura Lettura 7 minuti
Salone del Libro di Torino, Marina Cuollo e Vera Gheno intervengono durante l'incontro

“La disabilità spiegata ai bambini. Una tavola rotonda su scuola e abilismo” è il titolo di un incontro che si è tenuto ieri pomeriggio al Salone del Libro di Torino e che ha visto come protagonisti tre nomi fondamentali nel panorama italiano dell’attivismo e della divulgazione: Marina Cuollo, Iacopo Melio e Vera Gheno. Un dialogo denso, necessario e urgente che ha messo al centro la relazione tra infanzia, linguaggio e rappresentazione della disabilità.

Dare un nome alle cose per imparare a rispettarle

«Dare un nome alle cose importanti della nostra vita è un modo per attribuire loro valore» ha detto Marina Cuollo, che nel suo ultimo libro ha scelto di raccontare una bambina di nome Azzurra e la sua carrozzina, chiamata per nome (Giuditta, ndr). «Volevo che Azzurra considerasse la carrozzina come qualcosa di importante, nonostante spesso venga vista come un oggetto negativo, un simbolo della mancanza. Gli ausili che usiamo sono parte della nostra vita: a volte estensioni del corpo, altre volte strumenti fondamentali per vivere» ha sottolineato.

Secondo Cuollo, questo messaggio è molto potente, perché un ausilio così fondamentale come la carrozzina è in grado di dare dignità e valore ed è parte integrante dell’identità. Per questi motivi andrebbe anche maggiormente tutelata dall’invadenza di chi non sa – o non vuole – relazionarsi in modo rispettoso.

Abilismo: la parola che manca

Uno degli obiettivi di Cuollo è anche far emergere un concetto poco presente e poco compreso: stiamo parlando dell’abilismo, ovvero della discriminazione sistemica nei confronti delle persone con disabilità: «Quando ne parlo e chiedo al pubblico di cosa si tratti, vedo pochissime mani alzate. Eppure tutti, prima o poi, lo subiamo o lo esercitiamo, spesso inconsapevolmente. Mancano le parole per riconoscerlo». Il linguaggio è lo strumento attraverso cui possiamo nominare l’ingiustizia e iniziare a contrastarla: per questo motivo occorre che i bambini abbiano accesso a personaggi in cui potersi riconoscere: «Io, di personaggi in carrozzina, da piccola non ne ho mai visti. Se non puoi immaginare un futuro con un corpo come il tuo, è perché non ti è stato mai mostrato» ha specificato parlando di se stessa.

Per raggiungere questo obiettivo, le storie hanno un potere straordinario: quello di restituire un senso di riconoscimento e possibilità. Con il libro “La disabilità spiegata ai bambini” (Fandango), l’autrice ha creato uno strumento che aiuta gli adulti a spiegare ai più piccoli cosa sia l’abilismo, fornendo un linguaggio semplice ma potente per nominare e comprendere esperienze troppo spesso ignorate. Nelle storie, infatti, possiamo immaginare un futuro possibile, immedesimarci, trovare modelli di riferimento: «Se un personaggio come te non esiste nelle storie, è difficile immaginare di avere un posto nel mondo» ha ribadito.

Sessualità, affettività e stereotipi da smontare

Iacopo Melio, con il suo libro “Ma i disabili fanno sesso?” (Erickson) ha portato al Salone una prospettiva spesso esclusa dal discorso pubblico: la sessualità delle persone con disabilità: «Nel mio libro parlo di affettività e intimità, una sfera fondamentale come qualunque altra. Ogni persona ha un corpo e delle esigenze diverse, ma spesso si pensa che una persona disabile non possa provare piacere o attrarre per desiderio. Si immagina che chi sta con una persona disabile lo faccia solo per un sentimento eroico, ‘andando oltre’ la disabilità».

Melio ha insistito sulla necessità di portare l’educazione all’affettività e alla sessualità già nelle scuole, e senza percorsi differenziati. Serve smontare lo stereotipo che la disabilità sia incompatibile con la sensualità, con il desiderio e anche con il ruolo di amante.

Dall’altalena solitaria al gioco condiviso: l’inclusione nei luoghi dell’infanzia

Con un aneddoto efficace, Melio ha anche raccontato la sua esperienza politica con le aree gioco negli spazi pubblici dedicati all’infanzia: «Spesso le amministrazioni pubbliche pensano di avere la coscienza a posto soltanto con l’installazione di un’altalena per bambini disabili, senza rendersi conto quanto quel tipo di gioco li isoli perché non c’è relazione. Al contrario, un vero spazio inclusivo è quello in cui i bambini possono stare insieme: esistono, a proposito, i “girelli” che offrono la possibilità di agganciare le carrozzine» ha affermato.

In questa logica, l’inclusione non è solo accessibilità, ma anche relazione e condivisione. È un cambio di paradigma che parte da chi progetta gli spazi ma che deve essere sostenuto – anche culturalmente – nelle scuole, nei libri e nel linguaggio.

Le parole sono azione: il punto di vista di Vera Gheno

Vera Gheno, sociolinguista e divulgatrice, ha ribadito con forza come lingua e realtà non siano nemiche, bensì alleate: «Esiste e si è affermato un fraintendimento diffuso: si pensa, infatti, che non sia possibile occuparsi di linguaggio e di realtà allo stesso momento. Al contrario, i due aspetti possono lavorare in simbiosi e creare circoli virtuosi. La mia propensione a lavorare con le parole deriva dall’esperienza personale, perché in passato ho avuto modo di subirne il peso» ha dichiarato.

Gheno ha anche criticato la superficialità con cui alcune aziende hanno abbracciato il linguaggio inclusivo solo come branding: «Molti hanno cambiato il loro linguaggio senza però cambiare a livello strutturale, chiudendo poi i dipartimenti che si occupavano di inclusione e diversità. Dove si è mantenuta una certa coerenza, però, resta ancora oggi uno sguardo intersezionale sulle tematiche queer, sulle persone razzializzate o disabilizzate» ha aggiunto.

I bambini comprendono più di quanto pensiamo

Con l’esperienza del progetto editoriale “Scatoline” della casa editrice Effequ, Gheno ha mostrato come anche con poche parole si possano veicolare concetti complessi ai bambini: «Spesso pensiamo che siano piccoli adulti imperfetti, ma in realtà capiscono più di quanto crediamo. Il segreto è quello di usare un lessico adatto: non bisogna far finta che certe parole non esistano, ma bisogna affrontarle nel modo giusto».

Melio ha aggiunto che anche parole problematiche come “handicap” devono essere discusse per essere superate, perché «solo così si capisce che non è la parola giusta: attraverso il confronto e l’educazione, non con la censura».

Il peso delle parole: responsabilità e consapevolezza

Vera Gheno ha voluto poi sottolineare quanto sia cruciale non parlare al posto delle persone marginalizzate, ma lasciare che siano loro a decidere come stare nella società e come raccontarsi: «Depotenziamo le parole di intere categorie solo perché appartengono a una minoranza. Parliamo per conto di persone disabili, razzializzate, LGBTQIA+ senza restituire loro la voce». Da linguista, Gheno ha ribadito che il suo lavoro sulle parole non risolve i problemi, ma può contribuire a renderli visibili, affrontabili: «Il linguaggio non è una formula magica, ma è un inizio. Se ho aiutato qualcuno a capire, anche solo un po’, ho fatto il mio dovere». Il suo è un invito a riflettere su come le parole che usiamo abbiano la forza di costruire il mondo che abitiamo.

Una nuova prospettiva: da disabili a disabilizzati

Uno dei concetti chiave emersi durante l’incontro, espresso da Melio, riguarda la necessità di superare i termini di persona disabile o con disabilità per passare a quello più avanzato di “persona disabilizzata“: «Non sono io ad essere disabile di per sé, ma è la società che mi rende tale quando non mi dà gli strumenti per fare ciò che fanno tutti» ha spiegato. Questa visione sposta l’accento dalla condizione individuale al contesto sociale, invitando a una riflessione collettiva sulle barriere architettoniche, culturali e comunicative che ancora escludono troppe persone.

Una nuova società grazie ai bambini

L’incontro al Salone del Libro di Torino ha indicato prospettive per il futuro, ricordandoci come la parola e le storie siano fondamentali, sempre: Cuollo, Melio e Gheno hanno dimostrato che la disabilità si può — e si deve — raccontare anche ai bambini, perché è proprio da loro che può nascere una società nuova, più equa e coesa.

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