Sabato 17 maggio, presso la Sala Montagna del Padiglione Oval al Salone Internazionale del Libro di Torino, Gio Evan ha presentato il suo nuovo romanzo, Le chiamava persone medicina (Rizzoli). Un’opera che, attraverso la narrazione delicata e poetica, esplora il tema dell’ipersensibilità e della sua accettazione, con un forte richiamo al valore delle differenze.
Un viaggio tra montagna, poesia e ipersensibilità
Protagonista del romanzo è Marelargo, un bambino “troppo sensibile”, che si sente inadatto al mondo. Dice di avere la pelle troppo sottile, tanto che tutto gli passa attraverso. Intorno a lui, gli adulti sembrano considerarlo fragile, strano, da correggere. Per aiutarlo a convivere con questa caratteristica, viene mandato in montagna dalla nonna Adele, una donna che conosce i silenzi, il dialetto della natura e che comunica con alberi e animali. La montagna diventa così un luogo di cura e scoperta, dove Marelargo inizia a comprendere la sua sensibilità non come un limite, ma come una risorsa.
Durante la presentazione, Gio Evan ha posto un forte accento sull’ipersensibilità, spesso erroneamente percepita come un difetto o una fragilità. “La parola sensibilità deriva dal latino sensibilis, che significa ‘capace di percepire con i sensi’”, ha spiegato l’autore. L’ipersensibilità, quindi, è la capacità di percepire in modo più intenso e profondo, un dono che permette di entrare in empatia con gli altri e di vedere il mondo in modo più ricco e sfaccettato.
Proprio come la disabilità non va considerata un limite ma come una caratteristica, anche l’ipersensibilità deve essere riconosciuta come una qualità umana preziosa. Chi è ipersensibile può sviluppare una marcia in più, quella di mettersi nei panni degli altri e di percepire il dolore e la gioia con maggiore intensità. Un potenziale che, se valorizzato, aiuta a costruire relazioni più autentiche e comunità più inclusive, è una capacità percettiva, non un problema da risolvere.
“Essere emotivi”, ha sottolineato Evan, “significa essere in grado di immedesimarsi, proprio come dovrebbe accadere quando si entra in contatto con una persona con disabilità. Non serve pietà, serve comprensione.”
Tra realtà e immaginazione: la magia del racconto
Il romanzo intreccia la realtà con elementi poetici e simbolici, mostrando la montagna come un santuario dove la sensibilità si trasforma in forza. Marelargo e sua nonna Adele rappresentano un legame profondo, un passaggio di sapere che unisce poesia, natura e consapevolezza emotiva. La storia invita il lettore e la lettrice a riflettere sul proprio rapporto con la sensibilità e sull’importanza di coltivarla senza paura o vergogna.
Le chiamava persone medicina si rivolge a tutti e tutte, bambini e bambine e adulti e adulte, invitando a un’educazione nuova alla sensibilità e all’empatia. È un invito a guardare la diversità come un valore e non come un ostacolo, a riconoscere l’importanza delle emozioni e della capacità di ascolto nella costruzione di rapporti umani sani e rispettosi.
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