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Vanessa Roghi al Salone del Libro: riscoprire “La parola femminista”

Data di pubblicazione 18 Maggio 2025
Tempo di lettura Lettura 3 minuti

Domenica 18 maggio, nella Sala Rosa del Padiglione 1 del Salone Internazionale del Libro, Vanessa Roghi ha presentato il suo saggio La parola femminista (Mondadori) insieme alla sociolinguista Vera Gheno. Un appuntamento che ha offerto un confronto profondo e personale sulla storia, il senso e le sfide del femminismo, declinato tra esperienze individuali e memoria collettiva.

Il ritorno di una parola e le sue trasformazioni

Vanessa Roghi racconta come, da bambina, la parola “femminista” fosse presente nel suo ambiente familiare. “Mia madre era femminista, mi portava alle manifestazioni. Anche se non ne conoscevo appieno il significato, quella parola era nell’aria”. Negli anni ’80, però, il termine diventa quasi un’etichetta negativa, considerata “da sfigate”. Solo a partire dagli anni 2000, grazie ai movimenti femministi latinoamericani – dall’Argentina al Messico – e a voci italiane come Michela Murgia, la parola torna a risplendere.

Il libro di Roghi si inserisce dunque in questa nuova ondata di femminismo. L’autrice costruisce una “biografia collettiva” intrecciando la sua esperienza personale con la storia di tante altre donne, intellettuali, scrittrici e attiviste, sottolineando l’importanza di una pratica femminista della riconoscenza, che recupera genealogie spesso ignorate dal canone ufficiale.

Temi chiave e interrogativi

La parola femminista non conosce mezze misure: la ami o la odi”, dice Roghi. E il suo libro è un invito a interrogarla, a partire da alcune domande fondamentali:
“Quando hai sentito parlare per la prima volta di femminismo? Quando ti è servita questa parola? Quando il tuo corpo è stato sessualizzato per la prima volta?”

Tra i temi affrontati: aborto, contraccezione, sessualità consapevole. Ma anche la storia del femminismo dagli albori, il peso delle rappresentazioni pubbliche, come la recente messa in discussione del ruolo di Michela Murgia.
“Ma, tra tutto quello che ho studiato e inserito nel libro – dice Roghi – c’è un elemento di vita personale.”

Corpo, silenzi e colpa: esperienze di violenza raccontate

Un passaggio potente del saggio è la narrazione di un tentativo di stupro subito da Vanessa Roghi da ragazzina.
“Avevo tredici anni, ero babysitter. Lo zio di un bambino mi chiuse in una cabina. Pensavo fosse colpa mia perché mi truccavo, sembravo più grande. Eppure ‘non era successo niente’, ma quel ‘niente’ ha segnato la mia capacità di riconoscere e resistere ad altre violenze successive”.
Raccontare queste esperienze è, secondo l’autrice, un modo per capire che le storie individuali non sono casi isolati, ma manifestazioni di un sistema che va analizzato e contrastato insieme.

Roghi evidenzia come il senso di colpa sia ancora molto presente oggi: cita ad esempio il caso di Giselle Pelicot, dove 50 uomini giustificavano le loro violenze con l’idea che “lei fingesse di dormire”.

La parola femminista non è dunque rivolto solo a chi vuole saperne di più sul femminismo. È un libro per chiunque voglia capire, interrogarsi, ripensarsi.
“È per le amiche, gli amici, per mamme e papà”, dice Roghi. “Anche per i maschi: perché sono parte della sessualizzazione del corpo, dei tentativi di molestia, della genitorialità. È uno specchio per chi ha il coraggio di guardarsi davvero.”

Insomma, l’opera di Vanessa Roghi è molto più di un saggio storico: è un invito a riprendere parola, a leggere la storia del femminismo come uno strumento per orientarsi nel presente. È una mappa per capire dove siamo, da dove veniamo e come costruire un futuro più consapevole e inclusivo.
Un libro necessario, oggi più che mai, per chi vuole non solo amare o odiare quella parola, ma farla vivere.

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