Al Salone del Libro di Torino, lo sport si è raccontato con la voce di due campioni che hanno fatto aleggiare sul Lingotto lo spirito delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi invernali, a pochi mesi da Milano Cortina 2026: stiamo parlando di Stefania Belmondo e Davide Bendotti. Due percorsi diversi, uniti dalla stessa passione e da un messaggio potente: sognare in grande è il primo passo per costruire qualcosa di straordinario.
Stefania Belmondo: la leggenda dello sci di fondo
Con 10 medaglie olimpiche, 23 vittorie in Coppa del Mondo e 13 medaglie ai Mondiali, Stefania Belmondo è una delle atlete italiane più titolate di sempre, una leggenda vivente dello sci di fondo. Eppure, la sua carriera iniziò con un’anomalia: «Alla mia prima Olimpiade ero solo una riserva. Una mia compagna si ruppe una gamba e così riuscii a partecipare a tutte le gare. Da lì tutto è cambiato» ha raccontato.
Per lei, l’Olimpiade non è solo una competizione sportiva, ma «un’esperienza che ti resta dentro per tutta la vita». A Torino 2006, proprio nella sua regione, ebbe anche modo di essere scelta come ultima tedofora, incaricata di accendere il braciere olimpico: «Un’emozione che non dimenticherò mai» ha commentato.
Lo spirito olimpico, secondo Belmondo, «è fatto di amicizia, scambio, condivisione. Ti capita di incontrare atleti di paesi impensabili: mi ricordo, ad esempio, un fondista del Kenya. Tutti portano gadget, spille e altri materiali da scambiare: è una vera e propria festa dei popoli».
Davide Bendotti: lo spirito paralimpico tra resilienza e gloria
Davide Bendotti è un parasciatore e ha rappresentato l’Italia alle Paralimpiadi di PyeongChang e Pechino, specializzandosi nel Super G. Dopo un incidente in moto nel 2011, a 17 anni, ha perso una gamba: «Dopo l’incidente ho iniziato con il nuoto, durante la riabilitazione. Poi, con l’aiuto di una persona che aveva avuto un’esperienza simile alla mia e grazie alla vicinanza di casa mia alle piste, ho iniziato a sciare ed è cominciato tutto» ha raccontato.
Per gli atleti con disabilità, ha aggiunto, «le Paralimpiadi sono l’evento della vita, perché le altre competizioni hanno poca visibilità. Oggi, però, grazie ai social e ai media in generale, finalmente il pubblico considera soprattutto le nostre performance piuttosto che la disabilità».
Nel villaggio paralimpico, inoltre, «c’è l’usanza bellissima di scambiarsi le spille delle delegazioni. Ne ho collezionate tante, i miei pass pesano cinque chili!». Come molti atleti, anche Bendotti ha ammesso di seguire alcuni rituali prima della gara: «Ascolto musica per concentrarmi. Ma con i compagni, a cui mi lega un rapporto di grande amicizia, riusciamo a caricarci e vicenda».
Allenamento, passione e sacrificio
Entrambi gli atleti hanno sottolineato quanto siano fondamentali l’impegno e la determinazione. Belmondo ha confessato, a proposito, alcune mancanze giovanili (del tutto superflue, a suo avviso): «Ho mangiato la prima pizza fuori casa a 23 anni e non sono mai andata a ballare, ma rifarei tutto da capo. Ai ragazzi dico: dovete sognare, qualunque cosa vogliate diventare».
Anche per Bendotti, la quotidianità è fatta di sacrifici e dedizione: «Ci alleniamo dalle 4 alle 7 ore al giorno, tra neve e palestra. Il livello tecnico è altissimo, anche se ovviamente ci sono dei limiti legati alle nostre caratteristiche fisiche» ha ammesso.
Milano-Cortina 2026: una nuova occasione
Sul futuro delle Olimpiadi e Paralimpiadi italiane, entrambi sono pieni di aspettative. Belmondo è ottimista: «Sono sicura che Milano-Cortina sarà all’insegna dell’ambiente, un tema oggi imprescindibile» ha auspicato.
Bendotti spera invece in un effetto moltiplicatore: «Sarà un’occasione unica per noi italiani. Eventi di questa portata restano negli occhi di chi guarda e di chi partecipa. Speriamo che tanti giovani si lascino ispirare e decidano di iniziare il loro percorso» ha aggiunto.
Oltre la gara
L’incontro al Salone del Libro non è stato solo un racconto di successi, ma un vero e proprio invito a credere nei propri sogni, qualunque sia il punto di partenza. Le Olimpiadi e le Paralimpiadi, più che una meta, sono una metafora potente. E in un mondo che spesso guarda solo al risultato, questi due campioni ci hanno ricordato come siano «i percorsi, le storie e la passione a rendere davvero grande un atleta».