Al Salone del Libro di Torino si è tenuta la presentazione del libro di Francien Regelink “Strafare. La mia vita (irre)quieta con l’ADHD” (ADHD è l’acronimo inglese di disturbo da deficit di attenzione/iperattività, ndr) edito da Leplurali, moderata dalla psicolinguista neurodivergente Eleonora Marocchini. L’autrice, scegliendo di utilizzare il linguaggio person first definendosi “persona con ADHD”, ha affermato in apertura come questa “etichetta” rappresenti quasi un segno di riconoscimento e, in un certo senso, un motivo di orgoglio.
La narrazione e il punto di vista clinico
Nel testo, Regelink alterna la narrazione personale al commento di una professionista clinica, evitando di farsi percepire come unica “esperta” di ADHD: «Volevo mostrare due prospettive: quella di chi vive l’ADHD quotidianamente e quella di chi lo guarda da un punto di vista clinico» ha ancora dichiarato. Questo scontro di sguardi arricchisce e rende complessa la narrazione, creando una discussione animata sulla funzione delle etichette diagnostiche: limiti per alcuni, liberazione per altri, a seconda di come vengono ricevute e percepite.
L’accettazione positiva dell’ADHD
Regelink non teme la visibilità dell’etichetta e sottolinea anche il supporto della rete familiare: «Ho provato a fare la persona “normale” così tante volte, soffrendo e sentendomi spesso inadeguata, ma i miei genitori – sia prima che dopo la diagnosi – sono sempre stati comprensivi e di grande sostegno: questa è una ragione per cui sono felice; gli insegnanti, al contrario, mi hanno messa da parte forzandomi a stare ferma».
L’autrice offre esempi concreti di genitori e insegnanti che, senza un adeguato incoraggiamento, ignorano il talento bloccando le potenzialità solo per aderire ad un concetto di normalità inesistente quanto dannoso. A sostegno di questa tesi, vengono citati regole e programmi scolastici che spesso ignorano i bisogni dei bambini con ADHD
Società e patologizzazione
Regelink, insieme a Marocchini, invita poi a riflettere su una “società che patologizza” qualsiasi caratteristica divergente dalla norma, a meno che non sia “utile” al sistema capitalista. Nel libro vengono approfonditi, a proposito, i meccanismi di compensazione e mascheramento, ovvero i modi in cui si cerca di nascondere le proprie particolarità per soddisfare le richieste sociali. «Quando sono annoiata o infastidita, partono tutti quei meccanismi interiori: ma con la consapevolezza ho capito che quella è la mia voce e che, se uso tutte le mie energie in modo coerente con il mio modo di essere, ce la posso fare; tutte le volte che inizio qualcosa di diverso, funziona e libero la mia creatività» ha spiegato l’autrice prendendo ad esempio la propria attività lavorativa.
L’ADHD come superpotere
Un tema che attraversa le pagine di “Strafare” riguarda la visione dell’ADHD come un “superpotere”. L’autrice sottolinea, infatti, l’importanza di concentrarsi sul processo più che sulla caratteristica stessa: «Non siamo supereroi, ma abbiamo dei “regali” in più: ho impiegato molto tempo per non considerare le mie differenze come mancanze, ma come possibilità». L’idea di Regelink è che, anche avendo un approccio diverso, si possano raggiungere risultati straordinari; l’ingresso del moderno paradigma neurodivergente ha favorito lo sviluppo di una maggior consapevolezza.
Un messaggio per chi non è ADHD
L’autrice confessa, inoltre, di non voler imporre un singolo messaggio, ma auspica che i lettori non neurodivergenti possano acquisire la consapevolezza necessaria con l’obiettivo di generare vantaggi per tutti e tutte: «Questo libro vuole dimostrare l’esistenza di altre possibilità e vie, perché la “strada standard” non è sempre l’unica disponibile e neppure quella corretta» ha aggiunto.
Il ruolo del “dream team”
Infine, Regelink parla di “dream team”, ovvero la rete di familiari, amici e professionisti che può trasformare la percezione dell’ADHD da qualcosa di negativo a neutro o addirittura positivo: «Il riconoscimento del ruolo sociale e familiare è fondamentale: senza il mio “dream team”, il percorso sarebbe molto più difficile» ha concluso.
“Strafare” non è solo una testimonianza personale, ma un invito all’accettazione, alla ricerca di soluzioni creative e alla valorizzazione della diversità. Con uno stile coinvolgente e ricco di esempi concreti, Francien Regelink offre una prospettiva nuova e stimolante.