Le recenti dichiarazioni di Giovanni Marino, presidente di ANGSA (Associazione Nazionale Genitori di perSone con Autismo) e della Fondazione Marino, hanno scatenato una reazione forte e trasversale nel mondo della disabilità. A preoccupare non è solo il contenuto di quanto affermato, ma la visione profonda e sistemica che queste parole tradiscono: una concezione della disabilità centrata sull’assistenzialismo, sull’omologazione e sulla segregazione istituzionale, anziché sull’autodeterminazione, la libertà e il diritto alla vita indipendente.
L’articolo a firma di Marino, pubblicato su Superando il 9 luglio 2025 e intitolato “Le residenze non sono istituti, ma modelli abitativi progettati a misura dei bisogni assistenziali delle persone”, ha acceso un dibattito acceso in tutto il Paese. Le sue affermazioni – che descrivono le strutture residenziali come soluzioni su misura, ne minimizzano la natura segregante e ridicolizzano il Progetto di Vita previsto dalla Legge Delega 227/2021 – vengono considerate da molte associazioni non solo pericolose, ma anche profondamente lesive della dignità delle persone con disabilità.
Una visione che nega la cittadinanza piena
Nel testo, Marino liquida il Progetto di Vita partecipato come un «foglietto per ottenere 5.000 euro al mese», insinuando che i diritti garantiti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità siano un espediente per ottenere benefici economici. Una posizione che non solo banalizza uno dei principali strumenti della recente riforma italiana sulla disabilità, ma che contraddice apertamente i principi di autodeterminazione, inclusione e partecipazione sanciti dalla legge e dal diritto internazionale.
Le sue parole, però, pesano ancora di più perché pronunciate da una figura che ricopre un doppio ruolo: da un lato rappresentante di un’associazione di famiglie, dall’altro gestore di strutture residenziali. Un conflitto d’interessi evidente, che solleva domande legittime sulla reale finalità delle sue posizioni: tutela dei diritti delle persone autistiche o difesa di un modello economico basato sull’istituzionalizzazione?
La forma non basta: la segregazione ha molte facce
A indignare molte famiglie e attivisti/e è anche il tentativo di ripulire linguisticamente la realtà delle strutture residenziali. Ribattezzarle “modelli abitativi” non ne cambia la sostanza, soprattutto se – come lo stesso Marino ammette – sono “luoghi dove non ci si limita a restare rinchiusi”. Le parole tradiscono ciò che si tenta di nascondere: una logica di reclusione e separazione, mascherata da assistenza.
Ancora più grave, secondo i coordinamenti critici, è l’argomentazione a favore della convivenza esclusiva tra persone autistiche, con l’intento di evitare la “vanificazione” delle attività educative da parte di persone con altre disabilità. Un’idea che rievoca le pratiche degli ospedali psichiatrici e che ripropone, sotto nuova veste, l’isolamento patologico e il rifiuto della convivenza sociale.
Una narrazione pericolosa e disumanizzante
Le critiche a Marino si concentrano anche sul linguaggio adottato: definire persone con disabilità come “casi umani commoventi” non è solo degradante, ma segnala una visione che disumanizza, infantilizza e nega soggettività. Un esempio contrario è quello di Michele N., giovane autistico non verbale con necessità elevate di supporto, la cui vita libera e partecipata è possibile grazie al riconoscimento della sua piena umanità e non malgrado le sue caratteristiche.
Il vero costo della libertà
Una delle domande centrali poste dalle associazioni è: perché lo Stato può destinare migliaia di euro al mese per il mantenimento in struttura, ma considera “temerario” garantire lo stesso importo per l’autonomia e la libertà di scelta di una persona? Il sospetto – espresso chiaramente – è che la delegittimazione del Progetto di Vita personalizzato sia funzionale alla conservazione di un sistema economico fondato sulla residenzialità, in cui le persone diventano strumenti di profitto.
Una frattura nella rappresentanza
Sempre più famiglie dichiarano di non sentirsi rappresentate da ANGSA e chiedono una presa di distanza chiara da parte dell’associazione rispetto alle parole del suo presidente. In caso contrario, viene richiesto che ANGSA abbandoni i tavoli istituzionali nazionali e locali dove partecipa come voce delle famiglie. Viene inoltre sollecitata la trasparenza sul numero e la tipologia delle strutture collegate a ANGSA e alla Fondazione Marino, oltre alla richiesta di dimissioni di Marino stesso per conflitto d’interessi.
La Convenzione ONU non è un’opinione
A chi, come Marino, dichiara che la Convenzione ONU «non è il Vangelo», le associazioni rispondono con chiarezza: non serve che lo sia. La Convenzione è legge dello Stato italiano dal 2009. È vincolante. E chi la ostacola si pone fuori dalla legalità e dalla civiltà giuridica. Non è una questione di opinioni: è una questione di diritti.
Un cambiamento è urgente
La rabbia e la delusione che percorrono le parole di famiglie, attivisti/e e operatori/ici non sono l’effetto di una divergenza interpretativa, ma la reazione a una vera e propria regressione culturale. In gioco non c’è solo il futuro delle persone autistiche, ma l’idea stessa di cittadinanza. Oggi, più che mai, viene rivendicato un cambiamento strutturale, che restituisca piena dignità a chi non l’ha mai persa, ma a cui è stata sistematicamente negata.
Le persone con disabilità, insieme alle loro famiglie, non si accontenteranno di riforme a metà. Pretendono di vivere, e non solo di essere assistite. Di decidere, e non solo di essere gestite. Di esistere nella società, e non ai suoi margini. E questa battaglia, oggi più che mai, non si fermerà.
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