LE VISIONI DI NEMRAC – “La scomparsa di mia madre”, essere persone è materia dell’invisibile

di Carmen “Nemrac” Riccato

Cari amici di Volonwrite, oggi vi presento il film che ha segnato irreversibilmente il mio autunno 2019, l’uscita che ho atteso di più: l’unica opera italiana in concorso all’ultimo Sundance Film Festival è, ed è stato dalla sua uscita lo scorso 10 ottobre, una sorpresa protagonista di un viaggio attraverso il paese in un lungo tour di presentazioni e proiezioni. Una serie di innumerevoli incontri tra umani diversi, diversamente ribelli od omologati che si sono lasciati stregare da questa relazione, questa storia di scoperte umane e familiari che solo sulla carta sembrava un viaggio impossibile. “La scomparsa di mia madre” è ancora in alcune sale italiane, e non solo, grazie alle instancabili Reading Bloom e Rodaggio Film (trovate le date qui https://www.facebook.com/thedisappearanceofmymother/ ), oltre a essere candidato nella categoria documentari agli European Film Awards (gli Oscar Europei) che si sono tenuti il 7 dicembre. Buona lettura.“Tu sei tu, ed è l’unica cosa che possiedi”. Ricordo come fosse ieri quando la mia maestra preferita, in seconda elementare, ci chiese di disegnare il nostro primo ricordo vivido. Non ebbi esitazioni su quel foglio bianco: con i gessetti disegnai una barchetta a vela in laguna, bruciata da un sole potentissimo. Quella era la storia che mia madre raccontava a me e a mia sorella Alice nella domenica di luglio in cui venimmo al mondo, una domenica bellissima di sole in cui ci teneva ciascuna sotto un avambraccio per non fare differenze.

Io alla finestra mi sono affacciata solo dopo due mesi d’ incubatrice, ma questo la mia immaginazione di bambina non lo considerava…ho ripensato a questo doppio ricordo leggendo la didascalia in apertura del film di Beniamino
Barrese, attraverso cui il regista confida allo spettatore che sua madre (Benedetta Barzini, ndr) è stata il suo primo e costante (s)oggetto di ripresa da quando ha cominciato a riprendere con la telecamera. Il primo ritratto filmico che Beniamino fa di sua madre è un crescendo di particolari sensibili all’empatia e all’immaginazione spettatoriale: le rughe del mento, l’attaccatura dei capelli argento, lo sguardo ruvido e inconfondibile con la luce chiara dell’occhio che illumina il profilo contrassegnato da un neo, traccia irreversibile della sua unicità estetica.

Le rughe disegnano il moto del respiro, le mani con le pellicine sanguinanti intorno alle unghie sono il primo indizio del sacrificio e del muto dolore, della ferita all’origine di questo lavoro: un dono al figlio, un atto di fiducia e forse anche gratitudine per quel desiderio filiale ed ancor prima umano di comprendere, un atto estremo qual è il progetto di scomparire, nell’arbitrio di potersi sottrarre agli oneri sociali che, di contro, conducono alla rinuncia alla vicinanza degli affetti.

Comprendere significa portare con sé. Beniamino non è pronto a questa separazione, non è pronto a lasciarla andare, è pieno di domande minori che solo apparentemente sono inezie della convivenza, poste con la purezza nel cuore ed un’ingenuità disarmanti, deciso a fare delle proprie scoperte il tesoro della propria Memoria. Barzini vuole scomparire perché tutta la vita si è sentita braccata dal suo corpo, dal potere che le ha dato e dalla sua naturale bellezza innegabile e impossibile da boicottare, per rivendicare uno spazio sociale equo nel suo essere donna con un pensiero critico che prescinda dalla propria esteriorità.

Barrese, che fa della propria ingenuità acerba e della sua telecamera un mezzo per comunicare al mondo il proprio punto di vista, sfodera tutta la sua determinazione per illuminare le resistenze e le umane contraddizioni di sua madre, una donna alle prese con l’ultima parte della sua vita. Ne esce un viaggio impervio, dentro spazi stracolmi di oggetti, forme e colori, in cui la protagonista si muove come dentro ad un labirinto con la saggezza e il disincanto di una custode del Tempo, testimone dei modi in cui la Realtà satura d’immagini ha trasformato la percezione delle cose del Mondo.

Da parte sua Barrese dà prova di come un cuore ed uno sguardo senza “a priori” e con molti interrogativi guidino un percorso alla ricerca del senso dell’esperienza, della consapevolezza d’essere abitanti dello stesso Mondo in cui (e da cui) cercare riparo. Poco importa se, per trovare il tesoro, si debba ricostruire e rielaborare il passato con un discorso che si dipana anche tra i mille abiti che sua madre ha indossato, le città in cui è vissuta o i salotti in cui non si è mai integrata.

Beniamino vede sua madre come nessuno può ed è convinto che lei stessa diverrà autentica partecipe del suo ritratto: è un viaggio di due persone, due anime vicine alla ricerca della loro stessa essenza, desiderose di trovare un momento per incontrarsi e finendo per trovarlo in bagno, davanti a uno specchio che li riflette insieme a condividere uno spazio senza che l’occhio di lui abbia bisogno dell’obiettivo per guardare, mentre lei concede all’immagine l’autenticità, sia in un atto di cura o in una verità sussurrata. Un momento in cui tutto è sospeso e l’affetto e la verità possono riverberare nello spazio senza limiti.

Lo sguardo del regista si apre al Mondo uscendo dagli anfratti e dalle vergogne segrete di sua madre, quando incontra il Mare e il Cielo che con la loro vastità relativizzano il peso della trasformazione di un rifugio che non è più nido ma la prima tappa del progetto di andarsene. Andarsene, sì, perché scomparire è romantico e ha poco a che fare con la necessità di disconoscere l’omologazione.

Il Cinema si dimostra ancora una volta l’arte e lo strumento per rendere l’orizzonte degli umani desideri una possibilità: Benedetta Barzini si dona, forse per la prima volta, all’immagine senza trucco, senza ciglia, facendo percepire la forza della propria presenza senza mai delegare alle apparenze un ritratto univoco. Beniamino Barrese, dal canto suo, sperimenta lo spazio della privacy di sua madre anche restandole a distanza, imparando a decifrare il respiro nelle spalle e le spontanee increspature dei capelli raccolti con gesti tempestivi: forse sono davvero questi i momenti in cui riverbera la persona che sembra fatta della materia dell’Invisibile che l’immagine non riesce ad afferrare.

Barrese disegna e porta con sé un serbatoio di memorie spontanee ed imperfette, regalando a sua madre il sollievo della consapevolezza della finitudine.