Le visioni di Nemrac – Una donna fantastica ha un sogno nel cassetto e qualcuno da custodire vicino al cuore

Ho visto Una donna fantastica, riportato alla ribalta dal premio quale Miglior film straniero all’ultima edizione degli Oscar, un “piccolo” film cileno con un noto produttore (Pablo Larrain), che ha fatto conoscere il Sudamerica, non solo, dell’ultimo decennio: metafora d’ un microcosmo tormentato dalla violenza che cerca, nelle gemme dell’umana poesia, una pionieristica forma di resistenza.

Un film con una storia singolare, unica come si può definire ogni essere umano, portatore sano della sua Storia, delle sue ferite e delle sue contraddizioni: proprio come Marina, la protagonista di questa storia d’amore e morte, con le sue conseguenze. Una donna fantastica inizia con una panoramica “rumorosa” delle cascate dell’Iguazù, una distesa d’acqua bianca, schiumosa e scrosciante tanto da divenir vapore nell’aria: penso subito alla materia rarefatta dei sogni nel cassetto, penso a Happy Together di Wong Kar-Wai e a quella coppia che provava ad amarsi nello spazio di desideri geograficamente opposti.

Scaccio quel pensiero triste, d’un’inevitabile separazione, per concentrarmi sulle mani di Orlando, un uomo di mezza età alla frenetica ricerca di qualcosa tra le carte dell’ufficio e le scartoffie lasciate in macchina, forse dentro la cartella di cuoio ammaccato (ma lucido) con cui va al lavoro. Una ricerca senza esito: non resta che trovare un’alternativa, un biglietto scritto a mano, al centro della carta bianca, senza fronzoli ma denso dell’essenza del sentimento che lo forgia. Quel biglietto è il regalo di compleanno di Orlando a Marina, il suo grande amore, glielo porge alla fine d’una cena al ristorante cinese, con lui che le spiega la caccia al tesoro dei biglietti smarriti e lei che scherza amorevolmente sulla loro differenza d’età con la stessa naturalezza con cui, a fine serata, festeggiano senza clamore in camera da letto.

Il quarto di secolo che anagraficamente separa gli amanti è ciò che il Mondo è pronto ad additare, come si fa con tutto ciò che appare inequivocabile ed evidente: il sentimento che li lega e il triangolo che formano con Diabla, il loro cane, è ciò che fa di loro una famiglia. Si conoscono da quasi un anno e Marina sta definitivamente ultimando il trasloco. Quella stessa notte di festeggiamenti, Orlando morirà improvvisamente in seguito alle complicazioni d’un infarto senza sintomi, senza annunci, senza preparare i cari del uomo al vuoto, alla sospensione improvvisa di tutto ciò che era, di tutto ciò che aveva costruito. Il mondo così, da un’ora all’altra, cambia colore, sfumature, i biglietti restano introvabili e il sogno infranto nel cassetto.

Improvvisamente la vita di Marina diviene la storia di un’amante scomoda per la prima famiglia di Orlando, la storia di qualcuno con una biografia da uomo alle spalle, vittima da sempre di soprusi, poco importa se per incomprensione o per i suoi polpacci da calciatore sotto la gonna. La sua quotidianità si trasforma in una continua lotta per tenere con sé il loro cane, i suoi ricordi incontaminati dal disprezzo comune e la possibilità di dare ad Orlando l’ultimo saluto.

Lelio firma una storia cilena ed insieme universale sulle implicazioni della perdita, su quanto l’assenza di chi muore si trasformi nel peso delle cose materiali che possedeva, senza soluzione di una mediata continuità per chi rimane. Personalmente ho trovato questo film folgorante, tanto quanto mi aveva scolpito il cuore l’argentino XXY dieci anni fa. Ho tracciato tra i due film una plausibile continuità vedendo in Marina il futuro turbolento ma anche colmo d’amore che il finale del film della Puenzo immaginava per il suo ermafrodita protagonista Alex.

L’amore è un sentimento accessibile a tutti se si è capaci di interpretare i desideri del proprio corpo e le aspirazioni del proprio cuore: non ha bisogno di platealità nei gesti o di prove cruciali, la presenza e la verità sono tutto ciò di cui ha bisogno per vibrare. Se l’amore si potesse disegnare sarebbe una cassaforte con la chiave che scatta all’apertura, vuota, da riempire con i giorni di condivisione; se è autentica, al momento della Morte, si svuota senza preavviso e senza altri segreti. Nel vuoto e nel dolore dell’altro, i ricordi in comune diventano memorie d’una felicità da ricostruire, in un nuovo capitolo di un percorso da continuare a vivere.

Carmen Nemrac Riccato