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Le visioni di Nemrac (DFF edition) – Premi Oscar 2021

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Data di pubblicazione 28 Aprile 2021
Tempo di lettura Lettura 5 minuti
oscar 2021

OSCAR 2021: ESSERE ABITANTI DEL MONDO È QUALCOSA CHE CI ACCOMUNA

“Figliolo, deve essere estroverso con gli altri perché gli altri non verranno a cercarti” (Crip Camp)

“Mi ha insegnato a sentirmi parte integrante di questo posto, non un visitatore, è un’enorme differenza” (My octopus teacher)

Lo devo ammettere: scrivere un pezzo dopo l’assegnazione di premi prestigiosi, come sono gli Oscar negli Stati Uniti, i David di Donatello in Italia, o fare reportage sui vincitori dei festival è qualcosa che non mi piace mai, forse mi piacciono poco i bilanci e preferisco i propositi, dove c’è spazio per la sorpresa e la spinta dell’entusiasmo. Prendere atto di ciò che il mainstream ha votato, finisce per alimentare la mia spinta compensatoria a valorizzare il non visto tra gli esclusi. Quest’anno però, con il suo carattere non ordinario su tutti i fronti, sono riuscita a scovare un filo rosso che incontri e faccia “dialogare” premiati ed esclusi in un’unica voce,  non per questo omologata.

Che Nomadland, insieme alla regista Chloe Zhao e la protagonista Frances McDormand, potessero vincere i tre premi più ambiti era previsto e prevedibile. Meno lo era l’assegnazione del premio come miglior attore protagonista ad Anthony Hopkins, che ha sbaragliato la concorrenza reale di Gary Oldman, protagonista di Mank di David Fincher (storia della genesi di Quarto potere).

Nomadland è la storia di Fern: sessantenne che, dopo la morte del marito e la perdita del lavoro, sceglie una vita da nomade a bordo del proprio camper. Questa storia è il suo viaggio attraverso gli Stati Uniti, solo apparentemente per raccontare gli effetti di una grande recessione che finisce per trasformarsi nel radicamento di una scelta di vita differente, alla scoperta di un senso di appartenenza alla comunità che trascende la storia individuale. Fern parte perché la sua vecchia vita non ha più senso, tutto ciò che di valore le è rimasto fa del suo furgone un nido, e gli incontri  lungo la strada saranno come tanti piccoli pezzi di un umano puzzle che le mostreranno nuova bellezza.

Da parte sua, Minari (che non ho ancora avuto la fortuna di vedere) è la storia di una famiglia sudcoreana vista con gli occhi del figlio della coppia protagonista, la storia di una seconda generazione a confronto con le origini e il potere delle differenze intergenerazionali e culturali.

Sul fronte che riguarda più direttamente il Disability Film Festival, la vera sorpresa di questa edizione è l’inclusione di Sound of metal (che abbiamo recensito ancor prima che ci giungesse notizia delle sei candidature) nella categoria Miglior Film.

Il film di Darius Marder si è aggiudicato il miglior montaggio ed i migliori effetti sonori, che considerata l’importanza proprio di questi due aspetti nella messa in scena (ed in discorso) di una storia con un personaggio protagonista sordo, è tutt’altro che un riconoscimento secondario. Nelle narrazioni di finzione, il montaggio ed il sonoro rappresentano il come si vuole raccontare una storia: il montaggio (e le soggettive sonore) sono le materie prime del racconto di una prospettiva ed una visione del Mondo differenti dalla normalità a causa delle implicazioni della disabilità.

Sound of Metal ha ricevuto forse non tutti i premi che meritava, ma certamente quelli più congrui a raccontare la potenza e la forza identitaria del personaggio, evitando di dover ricorrere alla retorica dell’anomalia per dare valore al film nella sua complessa totalità.

C’era però anche tra i candidati nella categoria documentari un film sulla disabilità, racconto di una parte della Storia che pochi (soprattutto non americani) conoscono. Si tratta di Crip Campdisabilità rivoluzionarie, narrazione del processo di approvazione del Disability Act nel 1973 negli USA, a seguito di una protesta organizzata da centinaia di persone con disabilità e non, considerato la matrice della vigente Convenzione ONU.

Crip Camp, prima di tutto, è la storia di persone con disabilità che si incontrano al Campo estivo Janed nei pieni anni 60, trasformando quell’esperienza in un momento cruciale ed iniziatico alla Vita, per costruire un futuro di autonomia ed indipendenza di pensiero al di sopra dei pregiudizi, fuori dalle classi differenziali, per combattere l’emarginazione sociale dilagante.

La candidatura di Crip Camp ha certamente offerto visibilità al film (uscito direttamente su Netflix) che, nell’alternanza di filmati dell’epoca e testimonianze raccolte oggi, a cinquant’ anni dai fatti, schiudono il senso della necessità di una lotta continua per vigilare e preservare diritti acquisiti mai scontati.

Ultima nota, non meno notevole, il documentario premiato si intitola My octopus teacher – ll mio amico in fondo al mare (anche questo disponibile su Netflix) storia anomala quanto straordinaria di un amore corrisposto tra un documentarista, Craig Foster e una piovra abitante la foresta di alghe in una baia vicino Cape Town. Per un anno Craig Foster, ogni giorno, ha fatto visita ad una piovra finendo per imparare, la pazienza, l’importanza della gentilezza e della cura per ogni animale, nel rispetto della vulnerabilità di ogni creatura selvaggia, comprendendo il valore d’ogni singola vita, finendo per attribuire nuovo valore ad ogni relazione anche sopra il livello del mare.

Nonostante, ad oggi, non possa dire d’aver visto tutti i film premiati in questa edizione, sento di poter affermare che, nonostante siano stati girati prima della pandemia, finiscono per mostrarci la direzione ed il cambiamento nella scala degli umani valori a cui il coronavirus Covid19 ci ha forzato a guardare.

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